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venerdì 5 dicembre 2014

Roba da poeti? Va bene, e poi?

Quello concernente il peso e l’importanza delle parole è un tema che – e non da oggi – mi sta molto a cuore. D’accordo:
«Roba da poeti», direte voi, e può essere che abbiate anche ragione (anzi, di ragioni – a dirla tutta – ne avete più d’una).
Ma io, d’altronde, questo sono e, ormai lo sapete, non solo non me ne vergogno affatto, ma lo grido pure – in tutti i modi possibili, per di più – ai quattro venti.
Risultati? Pochi, pochissimi, quasi nulli, ma – ad onor del vero – occorre rimarcare come non sia sempre facile, al cospetto dell’arte, ragionare in termini di risultati tangibili; poi, altrettanto onestamente, vi dico che non è questa la sede – o meglio – non è di questo che, al momento, mi va di disquisire.
No, voglio – o meglio, vorrei – ancora una volta, prendere la faccenda – quella che riguarda il peso e l’importanza delle parole, intendo – di petto:
«Perché»?
Come sarebbe a dire:
«Perché?»
Perché non vorrei sembrarvi supponente, ma ho la netta impressione – se non addirittura la certezza – che, al giorno d’oggi, siano in molti a trincerarsi dietro lo sterile paravento del:
«Tanto è roba da poeti» e, se – con le parole, il loro peso e la loro importanza (tutt’altro che presunta, a mio giudizio) – il giochino è, tutto sommato, abbastanza semplice, non è così – o non dovrebbe essere così – in generale.
Oggigiorno, in altri termini, si corre il rischio – e lo corriamo tutti, lo corre l’intero tessuto sociale, a mio parere – che il passo – dal:
«Tanto è roba da poeti» al:
«Comunque, per fortuna, non mi riguarda» – sia così breve da risultare impercettibile.
Domanda:
«E dopo»? 

Matteo Sabbatani

sabato 11 ottobre 2014

Il nuovo libro di Roberto Vecchioni

Dal 28 ottobre in libreria, per Einaudi 
«IL MERCANTE DI LUCE»

Trama

L'eroe è diverso, solo e diverso. È solo l'eroe tragico, così come l'eroe lirico. Marco è ormai prossimo alla fine. Ha diciassette anni e soffre di progeria, una malattia che accelera vertiginosamente lo scorrere del tempo e condanna a una vecchiaia precoce. Suo padre, Stefano Quondam, fuori dal tempo e dal mondo ci si è sempre trovato, anche se in maniera diversa. È un luminare di letteratura greca, grandissimo e misconosciuto, un Don Chisciotte che non ha mai smesso di combattere una testarda battaglia contro la stupidità e l'omologazione. Ma tra i due, chi è veramente il mercante di luce? Chi salva l'altro? Questa è la cronaca degli ultimi dieci giorni di un ragazzo colto e curioso, emozionato di fronte a quello che sa della vita, e di un padre che gliene spiega il senso, l'unico che conosce. Il filo che li unisce, che trasforma il pensiero in un racconto che non potrà essere dimenticato, è la poesia greca: un excursus appassionato, un viaggio luminoso in cui si rincorrono i grandi gesti e le tenere paure di poeti e poetesse dell'unico tempo possibile, quello tra il mito e l'invenzione dell'amore. E sarà proprio qui, in un punto sospeso tra pagine da sfogliare, gioco, passioni e vita vissuta, che troveranno il varco per salvarsi entrambi, perché non è possibile che "gli uccelli cantino quando finisce una tempesta e un uomo non sappia essere felice per il sole che gli resta".

Note Editore


Un padre e un figlio, intorno a loro il mondo di oggi e dentro di loro un mondo sospeso tra mito e invenzione: un romanzo intensissimo sull'amore per i libri e per la vita.

Prefazione


"Lui non sta ritto ai quadrivi come un imbonitore. Lui va, casa per casa, lui sta nella mia casa. Lui è il mercante di luce. E il suo prezzo è il mio cuore in tumulto"
L'eroe è diverso, solo e diverso. È solo l'eroe tragico, cosí come l'eroe lirico. Marco è ormai prossimo alla fine. Ha diciassette anni e soffre di progeria, una malattia che accelera vertiginosamente lo scorrere del tempo e condanna a una vecchiaia precoce. Suo padre, Stefano Quondam, fuori dal tempo e dal mondo ci si è sempre trovato, anche se in maniera diversa. È un luminare di letteratura greca, grandissimo e misconosciuto, un Don Chisciotte che non ha mai smesso di combattere una testarda battaglia contro la stupidità e l'omologazione. Ma tra i due, chi è veramente il mercante di luce? Chi salva l'altro? Questa è la cronaca degli ultimi dieci giorni di un ragazzo colto e curioso, emozionato di fronte a quello che sa della vita, e di un padre che gliene spiega il senso, l'unico che conosce. Il filo che li unisce, che trasforma il pensiero in un racconto che non potrà essere dimenticato, è la poesia greca: un excursus appassionato, un viaggio luminoso in cui si rincorrono i grandi gesti e le tenere paure di poeti e poetesse dell'unico tempo possibile, quello tra il mito e l'invenzione dell'amore. E sarà proprio qui, in un punto sospeso tra pagine da sfogliare, gioco, passioni e vita vissuta, che troveranno il varco per salvarsi entrambi, perché non è possibile che «gli uccelli cantino quando finisce una tempesta e un uomo non sappia essere felice per il sole che gli resta».



martedì 9 settembre 2014

Dal 15 settembre in edicola


Da Lunedì 15 settembre sarà in edicola la raccolta inedita delle migliori canzoni di Roberto Vecchioni.
Brani indimenticabili, entrati nella memoria di tutti gli italiani,ma anche brani meno noti da riscoprire, selezionati e commentatidall’artista stesso e dal critico musicale Mario Luzzatto Fegiz.
14 CD mai pubblicati del Prof, più il DVD Camper,che lo vede protagonista di una grande interpretazione dal vivo.

Una collezione di musica, vita, poesia e grandi storie.

giovedì 21 agosto 2014

Nota di fine anno

Ci siamo, la fine dell’anno – per chi, come il sottoscritto, è convinto che, in vero, l’anno medesimo cominci a settembre – è arrivata: è tempo, pertanto, di vacanze – ormai imminenti, per meritate o meno che esse siano – e di bilanci, che – come preannunciato qualche giorno fa – non quadrano affatto, tanto per cambiare, nemmeno stavolta.
A questo proposito, in tutta onestà, ammetto che alcune colpe – non tutte, ma di certo quelle più grosse – sono mie e solo mie e che – se mi esimo dall’elencarle in modo puntuale e tassonomico – lo faccio unicamente per pietà verso me stesso; altre no, sono correlate al quotidiano vivere e, si sa, da quello – fino a prova contraria – nessun individuo sano di mente si può volontariamente esimere.
Che anno è stato? Non saprei: è sempre difficile – anche a posteriori – esprimere giudizi ponderati su quanto si è vissuto. Certo, alcune conferme – tanto in positivo, quanto in negativo – le ho avute, alcuni riscontri attesi da tempo sono arrivati – è indubbio – ma, se dicessi che comincio – finalmente – a veder chiaro lungo la linea d’orizzonte della mia esistenza, direi una panzana – o meglio – una balla colossale.
Anzi, vi sono alcune nubi – la cui effettiva consistenza è tutta da verificare – che, minacciose, sembrano addensarsi sul primi mesi del nuovo anno; però…, sì…, però ora – perdonate – ma non ci voglio pensare, anche perché – per un motivo o per l’altro – nulla o quasi dipende dal mio volere e, poiché non resta che attendere, questo farò.
«Dunque», direte voi, «Vai in ferie e te ne freghi del mondo!»
Beh, non è proprio così, non ho detto proprio questo: vedete, il concetto di mondo – per prima cosa – è grande almeno quanto il mondo stesso e, com’è noto, non è umanamente possibile farsi carico di tutto; analogamente, poi – ma paradossalmente per converso – il concetto di mondo può essere identificato anche con il proprio mondo, sia esso interiore e/o composto da quella rete – più o meno fitta – di relazioni ed interazioni personali che sono – da sempre – l’essenza del nostro stare in società.
Da che uomo è uomo, quando – per cause involontarie ed indipendenti da noi – anche il mondo interiore è in disordine, sentiamo più forte e pressante l’esigenza di fare affidamento su quei legami, di rafforzarli ulteriormente: sono punti di riferimento, sappiamo che – in ogni caso, vale a dire qualunque cosa accada  – loro, qui o altrove, ci sono, ci sono stati e ci saranno sempre.
Ecco svelato, quindi, il segreto – che segreto non è – più segreto d’ogni tempo: è l’amicizia, l’affetto sincero di chi – in un modo o nell’altro, qui o altrove – ci è vicino, a far ‘si che noi, la mattina, ci si alzi – negli anni e nei momenti bui, così come in quei rari vuoti d’aria in cui luci sfavillanti la fanno da padrone – con la consapevolezza di avere la forza di far la nostra parte, piccola o grande che sia, sul proscenio della vita.
Sin d’ora, buon anno a tutti voi

martedì 22 luglio 2014

A colloquio con l'anima (inedita)

Ho un lavoro che mi piace,
ma quest’anima non tace;
anche quando non dovrebbe,
lei s’insinua, mi mette alle strette
e, sarcastica, domanda:
“Ma li vedi i segnali
che il tempo ti manda?
Cosa – cosa, amico mio?
I ricordi?
Tu sei preda dell’oblio,
non giochiamo a fare i tordi:
questi qua sono viburni
ed i patimenti diurni
a te servono soltanto
per poter mostrare al mondo
quanto è grande il tuo rimpianto!”
Con quest’anima salace
non si riesce a stare in pace:
quando meno te lo aspetti,
lei si prende i tuoi difetti
e ci gioca a rimpiattino;
poi presenta un resoconto
che nono torna quasi mai
perché, giorno dopo giorno,
cresce solo il bilancio dei guai
e tu in mano non hai niente:
il domani, illustre assente
dalle possibilità,
si fa beffa della gente
che ha una qualche qualità,
mentre il novero di quelli
che ancor vivon di viltà
s’arricchisce sempre più
e si nutre di virtù
che son false e inconsistenti
e tu, con l’amaro in bocca
e con la coscienza sporca,
hai un pentimento vero.
Non camminano, gli onesti,
in quel lacero sentiero
che è la vita di ogni giorno,
se non mettono le vesti
di chi crede che il pensiero
faccia solo da contorno.

mercoledì 18 giugno 2014

L'urlo

Urlo:
"Per favore, coerenza"!
Ma il fiato
rimbalza contro il nulla
e mi rimanda un'eco
lontana e morente.

mercoledì 14 maggio 2014

«Com'era e com'è»

Da qualche giorno a questa parte – per chissà quale ancestrale, misterioso motivo – ci ritroviamo spesso, improvvisamente, catapultati nel labirintici sentieri del «com’era e com’è», un giochino assurdo – e, per certi versi, anche alienante – che, è vero, poggiato sul vizio di un’inutilità di fondo, lascia il tempo che trova – tanto per dirla con un luogo comune – ma al quale non riusciamo – e forse, masochisticamente parlando, nemmeno vogliamo – sfuggire.
Niente e nessuno – detto per inciso – impone a chi legge di seguire – né, tanto meno, condividere – questa nostra libera scelta, s’intende e, dunque, vi invitiamo caldamente – se avete di meglio da fare – a procedere spediti nel dipanare una matassa, quella della vostra quotidianità, che – ne siamo certi – si compone di urgenze molto più pregnanti di quanto non sia ogni tentativo – peraltro già in partenza vano – di raccapezzarvi tra queste elucubrazioni nostalgiche e stantie.
Per quanto ci riguarda, però, è diverso; per quanto ci riguarda, però – ovverosia per natura e inclinazione personale – non possiamo esimerci dall’accettare, ogni volta, la sfida e, provando a percorrere senza timore quegli stessi sentieri, constatare amaramente com’era una volta – quando c’erano persino le idee, quelle che ti formavi vivendo come e dove vivevi e che, agli occhi del mondo, spiegavano chi eri e che, a te, davano un’identità e, udite-udite, un senso di appartenenza – e, invece, com’è adesso – che non si vede più neppure l’ombra di un’idea degna di essere intesa come tale, che tu sei tu (comunque e sempre) e di quel che pensa il mondo, sempre ammesso che pensi, è inutile parlarne e/o tenerne conto.
Eppure – ed è forse persino ovvio sia così – pare che tutto continui comunque, sia pur sotto insegne e secondo logiche dettate dalla demagogia e da un’irrefrenabile esigenza di primazia individuale: all’occasione – quindi – il mero tornaconto privato si ammanta col velo d’un presunto, ipotetico, futuro e futuribile pubblico beneficio.
In fondo – pensiamoci – dov’è la novità?
Già, stiamo – molto probabilmente – giocando col fuoco, lo confessiamo e – con la stessa onestà intellettuale – ammettiamo di essere perfettamente consapevoli che – se ci bruciassimo – la colpa sarebbe solo nostra, ma il labirinto del «com’era e com’è» ha una sola via d’uscita.
Dunque, chi dovesse – per avventura – incrociare lo sguardo imbronciato e deluso di una signora coerenza legittimamente in fuga – per favore – la fermi e la coccoli a dovere: qualcuno qui, disperatamente, la implora di tornare.


Matteo Sabbatani

venerdì 9 maggio 2014

Qui, ora, oppure...

E dire che pensavo – povero illuso, che altro non sono – che, in ogni cosa, una quota del destino fosse – per così dire – da costruire autonomamente; e dire che pensavo che farlo fosse un dovere, prima ancora – e piuttosto – che una mera possibilità.
Invece – e, lasciatemelo dire, purtroppo – no, non è così; no, non lo è, perché – se è vero che, come ho precedentemente cercato di argomentare anche in questa sede, il mondo è fondamentalmente disarmonico – è parimenti inconfutabile che, benché a regnare e a farla da padrona sia la casualità, esiste una sorta di ordine ontologico che – in qualche misura – indirizza e guida la casualità medesima, sia pur determinando – per paradosso – il continuo persistere del massimo grado di contingenza della – e, al contempo, nella – realtà.
Sociologismi sterili?
I meno avveduti – ovvero, ahimè, la stragrande maggioranza dei miei simili – etichettano in tal modo, ne sono certo, queste dissertazioni, salvo poi – quando la sorte decide di mostrarsi nuda e cruda per com’è – ritrovarsi basiti, interdetti e incapaci di capire: ecco, allora, che – sovente – sconcerto e disperazione prendono il sopravvento; ecco che ci si scopre ad imprecare contro il destino cinico e baro, mentre lui – il destino, appunto – fa solo il suo mestiere, né più e né meno.
Vedete, il vivere – quotidiano e indispensabile accidente di ogni specie, ivi compresa quella umana – elargisce porte in faccia e spalanca portoni secondo un equilibrio inintelligibile: a noi, stante ciò, basta – e deve per forza bastare – la consapevolezza che, al giorno d’oggi, sia il puro e semplice intento della mediazione tra interessi differenti, sia – tanto più – le strutture ad essa eventualmente deputate sono amenità superflue; lo sono, peraltro, non già per loro intima natura, ma perché:
«Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole», come Dante fa esclamare a Virgilio. Sicché domandare – ci insegnano i vati – è perfettamente inutile.
E dire…, ma niente: d’altronde, che c’è da dire?
Chi crede può aggrapparsi, ad esempio, alle parole di Giovanni vigesimo terzo, recentemente proclamato Santo:
«Di cielo siamo fatti» – disse – «sostiamo qui per un poco e poi riprendiamo il viaggio».
Agli altri – a quelli che, come il sottoscritto, si limitano a prender atto del qui ed ora – non resta che sperare di essere incappati in un clamoroso errore di calcolo.

Matteo Sabbatani

mercoledì 16 aprile 2014

Una barca e un fiore (inserita nella nuova raccolta "Nel buio, le mie colonne d'Ercole" - Bacchilega editore, 2016)

Avanti,
venite avanti tutti;
cercate,
tra i vostri finti lutti,
quello che più vi fa piangere.
Avvertitemi,
per favore,
quando lo avete trovato:
che io possa,
con un fiore,
venire, di grazia, esentato
dal prendervi parte.
Sapete,
non credo che sia un peccato
fermarsi e tirare un po’ il fiato:
ciascuno ha le fisime sue,
che campi da solo o per due;
del resto,
chissà poi perché,
così tanta fretta non c’è
di affidare a una stella qualunque
il bisogno di amore che sento.
Basterà non andar contro vento
e aspettare quel giusto momento
che arriva, si dice, per tutti:
raccoglier potrò, allora, i frutti
del vago destino che scorgo.
E non vi saranno più lutti,
ma solo una barca tra i flutti
che, quieta, al mio porto verrà