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venerdì 5 dicembre 2014

Roba da poeti? Va bene, e poi?

Quello concernente il peso e l’importanza delle parole è un tema che – e non da oggi – mi sta molto a cuore. D’accordo:
«Roba da poeti», direte voi, e può essere che abbiate anche ragione (anzi, di ragioni – a dirla tutta – ne avete più d’una).
Ma io, d’altronde, questo sono e, ormai lo sapete, non solo non me ne vergogno affatto, ma lo grido pure – in tutti i modi possibili, per di più – ai quattro venti.
Risultati? Pochi, pochissimi, quasi nulli, ma – ad onor del vero – occorre rimarcare come non sia sempre facile, al cospetto dell’arte, ragionare in termini di risultati tangibili; poi, altrettanto onestamente, vi dico che non è questa la sede – o meglio – non è di questo che, al momento, mi va di disquisire.
No, voglio – o meglio, vorrei – ancora una volta, prendere la faccenda – quella che riguarda il peso e l’importanza delle parole, intendo – di petto:
«Perché»?
Come sarebbe a dire:
«Perché?»
Perché non vorrei sembrarvi supponente, ma ho la netta impressione – se non addirittura la certezza – che, al giorno d’oggi, siano in molti a trincerarsi dietro lo sterile paravento del:
«Tanto è roba da poeti» e, se – con le parole, il loro peso e la loro importanza (tutt’altro che presunta, a mio giudizio) – il giochino è, tutto sommato, abbastanza semplice, non è così – o non dovrebbe essere così – in generale.
Oggigiorno, in altri termini, si corre il rischio – e lo corriamo tutti, lo corre l’intero tessuto sociale, a mio parere – che il passo – dal:
«Tanto è roba da poeti» al:
«Comunque, per fortuna, non mi riguarda» – sia così breve da risultare impercettibile.
Domanda:
«E dopo»? 

Matteo Sabbatani