Questa nuova pagina del blog la voglio riservare alle "cose del passato", cose che ho scritto nel corso degli anni che, a mio parere, hanno mantenuto e mantengono una loro intrinseca validità, una loro coerenza.
La inauguro riportando integralmente un tema, il cui titolo, ora come ora, onestamente mi sfugge, che svolsi nell'autunno-inverno del 1995, se la memoria non mi inganna.
Scoprirsi, aprirsi totalmente, incondizionatamente,
similmente a quanto mi è richiesto dal presente documento, risulta, per una
persona dalle mie caratteristiche psichiche e morali, arduo, alquanto
difficoltoso ma, proprio per questo, molto affascinante ed allettante; è una
sfida con me stesso: voglio, debbo riuscire a capire, a sapere se mi conosco
davvero. Credo sia inammissibile, antistorico, infantile e stupido, specie alle
soglie del ventunesimo secolo, di quell'epoca targata duemila verso la quale tutti
corriamo tanto freneticamente, l'atteggiamento, lo spirito, la spregiudicata,
insensata volontà di emulazione di molti miei coetanei; vivere di stereotipi, a
mio parere, non serve, conduce, sta portando me, io che credevo di essere
uguale agli altri, io che ho sempre pensato che una persona è tale quando è in
grado di pensare, di ragionare in modo autonomo, ad una sorta di
autoemarginazione.
E' lungi da me ogni proposito di commiserazione della mia
persona, del mio stato; quanto sopra, infatti, non deve, in alcun modo, venir
frainteso né, tanto meno, essere oggetto di interpretazioni distorte.
La mia non è una richiesta di aiuto, è una pura e
semplice constatazione oggettiva del fenomeno: ho unicamente asserito che, per
quanto mi riguarda, non mi ritrovo in questo tipo, in questo modo di vivere la
vita.
Mi si chiede ivi di parlare della mia storia; allora dirò
che, ripensando alla mia vita e cercando, al contempo, di associare questa ad
un'immagine, mi vien di pensare ad un'enorme distesa di verde, a prati sui
quali, tuttavia, sono adagiati imponenti, pesanti, grossi tronchi d'albero a
rappresentare i numerosi ostacoli, di carattere non solo fisico materiale, che
ho superato e che devo ancora oltrepassare per avvicinarmi il più possibile a
quella normalità che, al giorno d'oggi, sembra essere, lo ribadisco, l'unica,
l'imprescindibile condizione necessaria e sufficiente per avere un briciolo di
logica, umana considerazione.
Tante, troppe volte ho addossato al mio handicap le colpe
derivanti dall'impossibilità di compiere determinate azioni proprie di chi, al
contrario di me, può vantarsi di
condurre un'esistenza normale; tante, troppe volte é stato questo mio
impedimento a condizionare, in maniera estremamente rilevante, le scelte di
quanti, parenti ed affini, mi hanno sostenuto, confortato e seguito in questi
anni.
A chi mi domanda, quindi, se esistono e quali sono le
cose che avrai voluto fare ma non ho fatto, rispondo, senza alcun timore di
essere smentito, che mi sento colpevole di aver condizionato l'esistenza altrui
e che, innanzi a questo, non può esistere, non
ha il diritto di prendere forma, alcuna mia rivendicazione.
Certo, avrei voglia di
viaggiare, di scoprire, di vedere il mondo, una voglia matta, ma conosco, sono
consapevole dei miei limiti, so che non posso chiedere né pretendere, da me
stesso e dagli altri, più di quanto, con la mia perseveranza e volontà e con
l'aiuto di tutti, sono riuscito, sin qui, ad ottenere.
Lasciate dunque, che continui, che prosegua questa mia
confessione, questo mio sfogo; non fermatemi, ve ne prego.
Vorrei uscire dal mio guscio, vorrei rinunciare ad essere
"figlio dei telegiornali", ma ho paura di me, di quello che sono, di
come sono; ho il terrore di mettere in discussione tutta una serie di certezze,
di artifizi che ho lasciato creare alla mia mente in diciotto anni di
quest'esistenza.
Chi ha avuto, sta avendo, avrà occasione di conoscermi
non capirà, non gli lascerò comprendere queste mie turbe, questo dibattito
tutto interiore, tra me e me, che ha avuto inizio quando ho capito che questo
mondo gira alla rovescia, che é importante l'apparenza: é importante come ti
vesti, come ti muovi, come mangi, ma non come pensi; ecco i perché, le
motivazioni di quanto ho sostenuto in sede di presentazione di questo elaborato.
Mi sento solo, é come se fossi in una stazione,
passassero migliaia di treni ma nessuno si fermasse.
Credo, in conclusione, di poter auspicare che si
ricominci a porre la giusta attenzione alle persone in quanto singoli
individui, al loro modo di pensare, di vivere; se non vogliamo un mondo senza
ideali cominciamo, senza alcuna remora, a guardarci dentro, ricominciamo a
parlare di cose serie.
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