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sabato 27 aprile 2019

Prêt-à-Porter


Vivere è, ogni giorno,
indossare, con classe,
l'elegante vestito
dei propri impagabili difetti,
facendo attenzione
che il leggero cappello di pregi
calato sul capo
non voli mai via.

sabato 2 marzo 2019

Ebbene sì, al passo coi tempi

Di Matteo Sabbatani

Ebbene sì, sono un figlio del tardo novecento; ebbene sì, ho pure una formazione novecentesca: dunque?
Lo so, sulla base dei vostri cliché – peraltro quantomai contraddittori (così stereotipati e, al tempo stesso, mutevoli e fungibili) – io non sono “al passo coi tempi”: cioè?
Qual è – di grazia – il significato reale, effettivo e concreto di una locuzione come quella di cui sopra? Su, coraggio: cosa vuol dire “essere al passo coi tempi?”
No, vi prego di credermi, la mia domanda è sincera e non cela alcun intento polemico: semplicemente, m’appello alle vostre menti eccelse per essere portato a conoscenza del senso esatto di una espressione che, ormai, è entrata nel linguaggio corrente; semplicemente – giuro – ve lo domando perché, stolto come sono, non capisco, però so  che vorrei“saperne sempre di più”…
Ora, certo che la vostra risposta sarà rigorosa, completa, corretta, puntuale e più che mai esaustiva, non ho dubbi che – dall’alto della vostra insigne sapienza – proprio perché siete “al passo coi tempi”, coglierete al volo l’occasione (io, fossi in voi, lo farei) per illustrarmi anche – una di seguito all’altra e con dovizia di particolari, s’intende – le stravolgenti e sconvolgenti novità “partorite” – sul piano epistemico, euristico e gnoseologico – da questi primi vent’anni scarsi del duemila.
Non capite? Come sarebbe a dire che non capite? Vi chiedo cosa c’è di nuovo – da un punto di vista meramente culturale – in questo inizio di secolo e voi – che, al contrario di me, a buon diritto, potete annoverarvi tra coloro che sono al passo coi tempi – non capite? 
Francamente, rimango esterrefatto e basito: qualcosa non va.
Vedete, io – che non sono al passo coi tempi per via della mia formazione novecentesca – ad esempio, so cos’è, com’è fatta e “cosa dice” la Costituzione, tal che – conoscendo approfonditamente non solo la nostra – mi arrogo il diritto – anche se non lo sono in punto di fatto – di sentirmi offeso se e quando – come pure talvolta accade – qualcuno, non avendo nemmeno idea – detto per inciso – della differenza tra la Legge fondamentale dello Stato (ossia la Costituzione, appunto) e una Legge ordinaria, mi apostrofa come “il costituzionalista del cazzo”.
Vedete, io – che, complice la mia formazione novecentesca, non sono al passo coi tempi – per ore, potrei dissertare con voi – ad esempio – della differenza tra potere e potenza: cioè di come essa sia insita  nel rapporto “comando-obbedienza”, ovvero nella distinzione tra Coazione, intesa come uso legittimo della forza, e coercizione, che – invece –  corrisponde all’uso della forza medesima a prescindere da qualsivoglia legittimazione.
Oppure, il sottoscritto – pur non essendo al passo coi tempi – potrebbe parlarvi di come, ad esempio, proprio dalla dicotomia “potere-potenza” sia scaturita l’enunciazione – ad opera di un tal Max Weber, sociologo tedesco – delle tre forme pure nelle quali, storicamente, si è manifestato il potere, nonché di come – a dire il vero – le medesime conclusioni fossero già state tratte – in ben altro contesto – da un signore di nome Gorgia che – nell’Antica Grecia, secoli e secoli prima di Cristo (e prima ancora di Socrate, Platone ed Aristotele) – fu filosofo.
E con la stessa passione – da uomo d’altri tempi quale sono –  vi spiegherei volentieri la differenza tra metafora e similitudine, tra sinestesia e sineddoche, tra iterazione ed allitterazione, tra climax ed anafora, tra iato e sinalefe, tra quinari, senari, settenari, ottonari e novenari – da una parte  e – dall’altra – deca, endeca e dodecasillabi.  
Ma sarebbe – me ne rendo conto – fiato sprecato: voi – che avreste serie difficoltà a collocare Trieste e Perugia sulla carta geografica, ma andate in vacanza alle Maldive (ché tanto basta prendere l’aereo giusto) – non avete nessun interesse a conoscere il valore, il significato e la funzione dei segni d’interpunzione e/o a comprendere la logica sottesa al loro corretto utilizzo.
Allora, oso – e poi giuro che mi taccio – porvi nuovamente la domanda e, col rischio di sembrare petulante, torno a chiedervi: cosa vuol dire – di grazia – essere al passo coi tempi?
Vuol dire – me lo insegnate voi – non accorgersi, più o meno volontariamente, del nauseabondo ed asfissiante odore di nulla e di vuoto che emana questa società dell’apparenza; vuol dire – me lo insegnate voi – aver smarrito la coscienza e la consapevolezza di ciò che siamo stati e di ciò che siamo – o dovremmo essere – al solo scopo di esaltare narcisisticamente  l’ego e gli istinti più retrivi di tutti e di ciascuno, cosa che – sul piano sociale, o meglio, sul piano del vivere comune – si traduce nel calpestare in modo sistematico – non solo in senso figurato, purtroppo –  l’altro e/o gli altri; vuol dire – mi inducete voi ad arguirlo – che questo povero poeta,  quest’umile scrittore, questo straccio di sociologo e di uomo può continuare a far vanto – a testa alta e con orgoglio – del suo non essere al passo coi tempi.