Questa
stanzetta virtuale (avrete notato che mi piace chiamarla così) è “casa mia”, lo
so, eppure – ogni volta – mi ritrovo ad entrarvi – per così dire – in punta di
piedi, quasi come se temessi di offendere, di metter becco in faccende non mie,
in cose che non mi riguardano.
Il
gennaio del 2013 – ora lo posso dire con piena consapevolezza e cognizione di
causa – è stato, per certi versi, un mese assurdo e surreale, ammesso che mi
sia concesso di esprimermi in questi termini: sul lavoro, nessuna novità e –
anzi – sembra che tutto e tutti siano fermi, in attesa di non si sa bene cosa,
quando, chi e soprattutto perché.
Però…,
sì…, però – forse – in periodo elettorale e pre-elettorale è sempre così; però…,
sì…, però – forse – sono io che la vedo in questo modo; però…, sì…, però –
forse – è semplicemente l’ennesima dimostrazione che non sono adatto, non fa
per me star su questa barca, solcare questo mare: intendiamoci, non è che non
sappia leggere le carte nautiche o seguire la rotta – magari cercando di orientarla
un po’ – ma il sottoscritto si ostina – povero illuso – a considerare il mare come la distanza – tutt’altro
che incolmabile – tra due porti, tra due approdi e – perché no – tra una realtà
e un sogno ipoteticamente realizzabile.
Sul
piano personale, poi, non ne parliamo: dire che sto attraversando una fase di
apatia pressoché totale è un eufemismo, o meglio, non rende l’idea.
Sì,
perché – a ben guardare – la mia non è proprio apatia; piuttosto – tornando alla
metafora del mare e della barca – mi sembra sempre di remare controvento e
controcorrente, ma non per volontà, non per scelta: so bene – molto bene,
credetemi – quel che vorrei e quel che sto cercando (di recente – a differenza
che in passato – ho anche preso, almeno credo, a scrollarmi di dosso qualche
remora eccessiva nel rapporto con gli altri e, in particolare, con le donne),
tuttavia – quando non ci pensa la vita a ricordarmi che ho un handicap – sono proprio
loro, le donne, a far 'si ch’io viva anche l’intelligenza, la cultura, il sapere
come elementi ostativi nei loro confronti, come qualcosa che – una volta di più
– mi rende diverso e “difficile”.
Ora,
mi chiedo:
“Possibile
che non abbia mai capito niente?”
Sono
convinto – e lo sono sempre stato, al punto da incentrare la mia esistenza su
questo – che, non potendo contare sulla prestanza fisica, l’unica carta vincente
che uno come me può giocarsi al cospetto del mondo sia la testa e che, dunque,
le uniche armi in mio possesso – aborrendo il pietismo – siano, oltre all’intelligenza,
l’ironia e il sarcasmo.
Se
poi mi si dice, o mi si fa intendere, che così non va – perché, che so io,
posso mettere in soggezione – allora…!
Matteo Sabbatani