Pagine

venerdì 9 maggio 2014

Qui, ora, oppure...

E dire che pensavo – povero illuso, che altro non sono – che, in ogni cosa, una quota del destino fosse – per così dire – da costruire autonomamente; e dire che pensavo che farlo fosse un dovere, prima ancora – e piuttosto – che una mera possibilità.
Invece – e, lasciatemelo dire, purtroppo – no, non è così; no, non lo è, perché – se è vero che, come ho precedentemente cercato di argomentare anche in questa sede, il mondo è fondamentalmente disarmonico – è parimenti inconfutabile che, benché a regnare e a farla da padrona sia la casualità, esiste una sorta di ordine ontologico che – in qualche misura – indirizza e guida la casualità medesima, sia pur determinando – per paradosso – il continuo persistere del massimo grado di contingenza della – e, al contempo, nella – realtà.
Sociologismi sterili?
I meno avveduti – ovvero, ahimè, la stragrande maggioranza dei miei simili – etichettano in tal modo, ne sono certo, queste dissertazioni, salvo poi – quando la sorte decide di mostrarsi nuda e cruda per com’è – ritrovarsi basiti, interdetti e incapaci di capire: ecco, allora, che – sovente – sconcerto e disperazione prendono il sopravvento; ecco che ci si scopre ad imprecare contro il destino cinico e baro, mentre lui – il destino, appunto – fa solo il suo mestiere, né più e né meno.
Vedete, il vivere – quotidiano e indispensabile accidente di ogni specie, ivi compresa quella umana – elargisce porte in faccia e spalanca portoni secondo un equilibrio inintelligibile: a noi, stante ciò, basta – e deve per forza bastare – la consapevolezza che, al giorno d’oggi, sia il puro e semplice intento della mediazione tra interessi differenti, sia – tanto più – le strutture ad essa eventualmente deputate sono amenità superflue; lo sono, peraltro, non già per loro intima natura, ma perché:
«Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole», come Dante fa esclamare a Virgilio. Sicché domandare – ci insegnano i vati – è perfettamente inutile.
E dire…, ma niente: d’altronde, che c’è da dire?
Chi crede può aggrapparsi, ad esempio, alle parole di Giovanni vigesimo terzo, recentemente proclamato Santo:
«Di cielo siamo fatti» – disse – «sostiamo qui per un poco e poi riprendiamo il viaggio».
Agli altri – a quelli che, come il sottoscritto, si limitano a prender atto del qui ed ora – non resta che sperare di essere incappati in un clamoroso errore di calcolo.

Matteo Sabbatani

Nessun commento:

Posta un commento