Buongiorno,
sempre ammesso che lo sia e/o che – in caso contrario – lo possa diventare
quanto prima; buongiorno, in questa giornata uggiosa di “battistiana memoria”,
tra conti che – esistenzialmente parlando – non tornano più – ed anzi, a dirla
tutta, non tornano mai – ed una miriade di quisquiglie diurne che impongono – o
meglio imporrebbero – al sottoscritto una presenza fattiva, vigile e concreta
impossibile – allo stato e in tutta onestà – da garantire ed assicurare sotto
alcuna forma.
Così,
chi lo sa se quello che si apre sarà o non sarà un buongiorno?
Quelli
che fanno gli oroscopi, quelli che divinano responsi, ci annoverano – in questo
duemila sedici – tra i segni più forti dello zodiaco, ma – se la memoria non ci
inganna – era così anche l’anno scorso e l’anno prima: dunque, i coglioni (ci
si passi il francesismo), se ancora continuassimo a credere che il fato sia
scritto nelle stelle, saremmo comunque noi, noi che – alla faccia della
coerenza – per celia, pendiamo quotidianamente dalle labbra di Paolo Fox e
pendevamo, ieri, da quelle di Branko.
Come
se non bastasse, poi, la nostra scrivania – quella di casa – ci ricorda che Pitagora
(ma qui si tratta al massimo di astronomia), da settimane, aspetta di essere
riscoperto – o meglio, capito – ma l’armonia non trova posto – ora come ora –
in una mente, la nostra, che – se ha indubbiamente sete di sapere, e di sapere
filosofico in particolare – è però molto impegnata a tentare, purtroppo vanamente,
di sbrogliare l’intricatissima matassa dei rimorsi, dei rimpianti e dei
ripensamenti.
Certo,
la buriana – in un modo o nell’altro – passerà: tante, infatti, e forti come e
più di questa, ne sono e ne abbiamo passate; tante, infatti, sono state le
volte in cui, come adesso – senza un motivo apparente – ci siamo ritrovati
così, sospesi in balia del presente, a cercare di guardare oltre un orizzonte
dalla linea curva ma che sembra immobile.
È
l’attesa che snerva, specie in circostanze come questa, quando – con esattezza
– non è dato nemmeno sapere che cosa si aspetta e una vocina – da dentro –
insinua che magari, invece di aspettare, sarebbe opportuno muoversi in prima
persona, correre in una direzione, anche se – mutuando il verso da un Guccini
d’annata – «quale sia e che senso abbia chi lo sa».
Allora,
buongiorno: sia come sia, da qui si comincia, perché augurarlo agli altri è
augurarlo un po’ anche a se stessi.
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