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mercoledì 3 febbraio 2016

Buongiorno

Buongiorno, sempre ammesso che lo sia e/o che – in caso contrario – lo possa diventare quanto prima; buongiorno, in questa giornata uggiosa di “battistiana memoria”, tra conti che – esistenzialmente parlando – non tornano più – ed anzi, a dirla tutta, non tornano mai – ed una miriade di quisquiglie diurne che impongono – o meglio imporrebbero – al sottoscritto una presenza fattiva, vigile e concreta impossibile – allo stato e in tutta onestà – da garantire ed assicurare sotto alcuna forma.
Così, chi lo sa se quello che si apre sarà o non sarà un buongiorno?
Quelli che fanno gli oroscopi, quelli che divinano responsi, ci annoverano – in questo duemila sedici – tra i segni più forti dello zodiaco, ma – se la memoria non ci inganna – era così anche l’anno scorso e l’anno prima: dunque, i coglioni (ci si passi il francesismo), se ancora continuassimo a credere che il fato sia scritto nelle stelle, saremmo comunque noi, noi che – alla faccia della coerenza – per celia, pendiamo quotidianamente dalle labbra di Paolo Fox e pendevamo, ieri, da quelle di Branko.
Come se non bastasse, poi, la nostra scrivania – quella di casa – ci ricorda che Pitagora (ma qui si tratta al massimo di astronomia), da settimane, aspetta di essere riscoperto – o meglio, capito – ma l’armonia non trova posto – ora come ora – in una mente, la nostra, che – se ha indubbiamente sete di sapere, e di sapere filosofico in particolare – è però molto impegnata a tentare, purtroppo vanamente, di sbrogliare l’intricatissima matassa dei rimorsi, dei rimpianti e dei ripensamenti.
Certo, la buriana – in un modo o nell’altro – passerà: tante, infatti, e forti come e più di questa, ne sono e ne abbiamo passate; tante, infatti, sono state le volte in cui, come adesso – senza un motivo apparente – ci siamo ritrovati così, sospesi in balia del presente, a cercare di guardare oltre un orizzonte dalla linea curva ma che sembra immobile.
È l’attesa che snerva, specie in circostanze come questa, quando – con esattezza – non è dato nemmeno sapere che cosa si aspetta e una vocina – da dentro – insinua che magari, invece di aspettare, sarebbe opportuno muoversi in prima persona, correre in una direzione, anche se – mutuando il verso da un Guccini d’annata – «quale sia e che senso abbia chi lo sa».
Allora, buongiorno: sia come sia, da qui si comincia, perché augurarlo agli altri è augurarlo un po’ anche a se stessi.

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