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venerdì 26 febbraio 2016

Tornare (Soverato - parte seconda)

Tornare, sì, vorrei tornare
e rivedere il cielo e il mare
che son sinonimo di libertà,
di “capodanno esistenziale”
per una vita da sempre a metà:
perché lì non s’indossano maschere
e nessuno ti chiede di vivere
come un altro diverso da te;
e, se non amicizia, cos’è
quello spendere tempo con me
o lasciarmi anche solo a pensare,
a guardarmi un po’ dentro e a e cercare
un appiglio per non naufragare
tra le somme, che son da tirare
e comunque non tornano mai,
e il bisogno che ho di respirare,
di chetare per qualche momento,
con l’aiuto – magari – del vento,
tutto il vostro trambusto, il vivai
e il fermento dei mille pollai
che pur riempiono quest’esistenza.
È l’istinto di sopravvivenza
a colmare, con versi e speranza,
questo fiume di tempo e distanza
che guardo, con molta inquietudine,
scorrere placido malgrado me,
mentre sorella solitudine
insinua il dubbio, che invero non c’è,
che questa voglia non sappia di sé
e sia frutto d’un mero capriccio,
di un desiderio falso e posticcio.
Mi pare inutile spiegare,
a lei che in quei giorni svanisce,
che l’esigenza di tornare
non muore o non s’assopisce.
Già,
spero davvero di tornare
e ritemprarmi sotto al sole
che, a picco e perpendicolare,
narciso, si specchia nel mare,
di posar lì la grande mole
d’elucubrazioni noiose
che è insita in tutte le cose

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